La felicità sembra essere sempre a portata di mano: basta ottenere quella cosa che tanto desidero, e sarò felice.
Una volta che possiedo quella cosa, però, il barlume di felicità viene subito offuscato dalla paura di perdere quella cosa. E inevitabilmente, poiché tutto è impermanente, quella cosa la perdo, ed eccomi nuovamente infelice. (E ahimè, troppo spesso sostituiamo "cosa" con "persona" e confondiamo tutto questo con il concetto dell'"amore"...).
Più desideriamo una cosa (bramosia = ardente desiderio), più soffriamo nel non averla.
Riflettiamoci un attimo: cosa vorresti avere, in questo momento, che non hai? Cosa pensi ti farebbe più felice e soddisfatta/o? Forse hai desiderio di un'auto nuova. Di amici con cui uscire. Un paio di scarpe nuove. Desideri forse più tempo per te. Fare una vacanza. Praticare più yoga.
Dal più materialistico al più "spirituale", qualsiasi tipo di bramosia è un impeto che ci spinge a volere ardentemente qualcosa che non abbiamo, con la certezza che, quando otterremo quella cosa, saremo finalmente felici.
Eppure sono certa che, se ci riflettiamo, di desideri ne abbiamo esauditi molti. Quella collana che tanto ci piaceva che ci hanno regalato al compleanno. La cucina nuova. La casa nuova. Quell'abito da sera che costava un pochino ma pazienza! Il cane. Il marito. I figli. Il viaggio che ho sempre sognato di fare. Poter fare più yoga. Avere una stampante nuova.
Quanti desideri, nel nostro piccolo mondo di privilegiati, possiamo concederci il lusso di esaudire! E quanti desideri esauditi ci hanno reso felice in maniera permanente? Quanta della "roba" accumulata negli anni ci ha reso persone più felici, soddisfatte, e contente? Guardandoci intorno possiamo forse ricordare il picco di piacere che abbiamo avuto quando una delle tante "cose" che riempiono le nostre case erano appena diventate "nostre". Perché trascorriamo la vita dedicandoci alla ricerca del piacere di questi picchi di felicità effimera?
Forse perché nel nostro intimo, in fondo al nostro essere, tutte e tutti noi condividiamo questo latente e costante senso di insoddisfazione e sofferenza che l'accumulo di "roba" ci aiuta a spingere ancora più in basso, ancora più in profondità? Nascosta nelle nostre viscere, la sofferenza del non avere mai abbastanza scava tunnel profondi e lunghi che dobbiamo ignorare, pena il dover affrontare una vita di finzioni, paure e maschere che ormai definiscono il nostro essere.
E sì, ci vogliono anni per cambiare il nostro atteggiamento dominante, dettato dalla cultura del consumismo che, come scrive Maria Popova, è “l’idea che le persone diano un senso a se stesse attraverso le cose, attraverso ciò che possiedono e ciò che acquistano”.
Che molta della nostra sofferenza sia causata dal consumismo?
Scriveva Victor Lebow nel lontano 1955: "La nostra economia incredibilmente produttiva ci richiede di elevare il consumismo a nostro stile di vita, di trasformare l'acquisto e l'uso di merci in rituali, di far sì che la nostra realizzazione personale e spirituale venga ricercata nel consumismo. [...] Abbiamo bisogno che sempre più beni vengano consumati, distrutti e rimpiazzati ad un ritmo sempre maggiore. Abbiamo bisogno di gente che mangi, beva, vesta, viaggi, viva, in un consumismo sempre più complicato e, di conseguenza, sempre più costoso"
Il "potere di acquisto" ci fa sentire forti, potenti appunto, liberi di scegliere. Ma forse, è solo una maniera di sopprimere infelicità, insicurezza, e insoddisfazione.
E se provassimo ad uscire dal tunnel della oniomania (=shopping compulsivo), e riconoscere che le "cose" non possono renderci felici?
Nel nostro stile di vita occidentale troviamo innumerevoli ambiti sui quali possiamo riflettere per diminuire la nostra spasmodica ricerca della felicità nel materialismo. Prendiamone uno in particolare: l'abbigliamento. Questo è un settore sul quale mi riprometto di tornarci tale è la sua importanza. La fast-fashion (leggi Shein, H&M, Primark, OVS ecc.) ha un impatto ambientale e sociale enorme (date un'occhiata qui) e, grazie a prezzi bassi e tantissime opzioni acquistabili ovunque, ci permette di soddisfare con facilità il circolo: emozione negativa-acquisto-gratificazione. Lo shopping compulsivo è un problema molto diffuso, e permette di mascherare bene la nostra sofferenza. Io stessa ne ho sofferto tanti anni fa, con una particolare fissazione delle Havaianas! Riflettiamo: quanti vestiti giacciono inutilizzati nei nostri grandi armadi in casa? Quanto ci sentiremmo più libere nel diminuire questo peso materiale... iniziando a non comprare più vestiti?
Potrei continuare con una riflessione sugli elettrodomestici che ci troviamo in casa (fino a quanto ci rendono la nostra vita più facile?), sui viaggi che facciamo (staccare dalla vita di tutti i giorni invece di affrontarla?), sui giocattoli per bambini (i nostri figli hanno già troppo), sul cibo (quanto spreco per sentirsi "benestanti") sui vari ninnoli che ci compriamo perché "sono carini", sulle nuove tecnologie (come si poteva vivere senza?), o ancora sui prodotti cosmetici e via dicendo.
Vi lascio con una frase dal libro The hidden wound" di Wendell Berry - poeta, agricoltore ed profondo ecologista:
"E sono lungi dal concedere qualsiasi cosa a coloro che ritengono che i poveri o chiunque altri possano essere migliorati ricorrendo a quel carnevale di spreco, ostentazione e avidità noto come “il nostro alto tenore di vita”. Come Thoreau sapeva così bene, e cercò così faticosamente di mostrarci, ciò di cui un uomo ha più bisogno non è sapere come ottenere di più, ma sapere di cosa si può fare a meno e come riuscire a vivere senza. La discriminazione culturale essenziale non è tra avere e non avere o tra chi ha e chi non ha, ma tra il superfluo e l’indispensabile. La saggezza, mi sembra, è sempre in bilico sulla conoscenza dei minimi; si potrebbe pensare che sia l'arte dei minimi".
Che questo autunno, con l'elemento metallo di cui è caratterizzato, possa aiutarci a riconoscere la differenza tra il superfluo e l'indispensabile.
Tra quello che conta veramente, e quello che è solo apparenza.
Con affetto e gratitudine,
Caterina
(Foto di the blowup su Unsplash)