NOTIZIARIO 3/21 Rinascita 18 Società Benefit Alta Formazione Antroposofica e La Questione Sociale Anno I Numero 3-Agosto 2021 Bollettino mensile d'informazione e rubrica di notizie | Editore: Margarida Tavares | Direttore responsabile: Maria Samonà | Redazione: Alma Nicolicchia | Sede legale, amministrazione: Via Alessio Narbone nr.58, Palermo 90138 | P.Iva e C.F.06662510822. Argomenti: ANTROPOSOFIA 2° PUNTATA - TRIPARTIZIONE: RIAPPROPRIARSI DEL POTERE - PER UN APPROCCIO PIÙ AMPIO ALLA BIOGRAFIA. FOTO DI COPERTINA DI STEFANO FOGATO |
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Editoriale In questo numero approfondiremo il tema dell'evoluzione dell'umanità, la quale, se vista storicamente, prosegue il suo cammino come un onda sommersa e inarrestabile mentre, a uno sguardo di superficie, il mondo umano danza in modo caotico e disperato una sarabanda di degrado. Possiamo brevemente notare l'acuta contraddizione di un morente mondo istituzionale che conclama leggi di blocco, separazione e paura nella sfiducia, vera o fittizia, che esso ha verso la reale, esistente forza individuale di ogni persona, che può unirsi in una collettività sana e ben strutturata proprio perché dotata di capacità di risposta alle difficoltà. L'istituzione morente proclama sempre più la sua sfiducia nell'umanità e nelle sue risorse, contando ormai vieppiù sull'apporto di modelli legati alle macchine per integrare le "manchevolezze", le "diversità individuali" che costituiscono, per questa visione di fine ciclo, l'inaffidabilità dell'essere umano e che invece sono la sua forza e la messe di eventi legati all'evoluzione. Proprio l'individuazione crescente di ogni umano è lo scenario su cui si sta abbattendo questa guerra che viene giocata con i mezzi della paura, dell'isolamento, della coercizione, ecc.. La guerra, per la supremazia sui corpi fisici abitati dall''io, guerra scatenata sin dall'infanzia. Motivo per il quale la soluzione a una emergenza educativa è la pedagogia steineriana, basata sul lavoro profondo e rispettoso verso ogni essere umano che arriva sulla terra, al fine che possa abitare pienamente e serenamente entro il corpo fornito dai genitori, con la propria individualità spirituale. |
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La cosa estremamente interessante è la crescente evoluzione, inarrestabile, del corpo fisico umano, dovuta alla costante sensibilizzazione delle anime che via via discendono. E così la guerra per non perdereil possesso degli uomini, fatta attraverso l'ottundimento progressivo del loro strumento materiale, il corpo minerale fisico, è vistosamente in atto. In questo numero pubblichiamo uno straordinario articolo di Henning Köhler, pubblicato nel 1997 sul primo numero di Kairós. Questo articolo parla di pedagogia in senso storico culturale, levando lo sguardo sul secolo appena trascorso ma parlando anche del nostro futuro con grande fiducia nell'umano. Umano che ritrova, attraverso lo studio della propria biografia, il senso della sua entità spirituale e delle sue periodiche missioni su questo pianeta cosi conteso e ambito: sulla Terra che ci ospita in questa fase di evoluzione. In questo numero continuerà a puntate lo scritto di Carmelo Samonà sulla conoscenza e l'approfondimento dell'Antroposofia. E avremo anche l'apporto di Marco De Berardinis sul tema della Tripartizione, cosi importante per il presente e futuro del vivere in collettività. Dunque buona lettura e buone vacanze! Buona lettura! Maria Samonà (ndr) Henning Köhler (Karlsruhe, 21 maggio 1951 – 8 aprile 2021) Ricercatore, pedagogista e terapeuta. Ha svolto attività terapeutica e di ricerca sull’anoressia nella pubertà presso la sezione Infantile della Flider Klinik a Stoccarda. Nel 1986 fonda un ambulatorio pedagogico terapeutico. Nel 1987 l'”Istituto Janusz Korzak” a Wolfschlungen presso Stoccarda che offre un servizio di carattere sociale, terapeutico e di consulenza rivolto all’infanzia, all’adolescenza ed alla famiglia. |
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Pubblicazione a puntate da uno scritto del Dott. Carmelo Samonà ANTROPOSOFIA 2° puntata 01/08/2021 Per poterci avvicinare a quella corrente spirituale che prende il nome di Antroposofia in modo da intenderne i contenuti e i metodi, può essere utile farci una idea della sua collocazione nello scenario generale dell’evoluzione dell’umanità. Per fare questo dobbiamo considerare il fatto che la struttura della coscienza e il suo modo di sperimentare la realtà non hanno una forma statica, ma si modificano e si trasformano nel tempo. La coscienza umana è intrinsecamente legata al tempo che costituisce il substrato della sua evoluzione. Essa porta entro di sé il tempo come condizione per trasformarsi ed evolversi. Il modo con cui sperimentiamo la realtà si modifica sempre più profondamente quanto più retrocediamo nelle epoche passate e d’altra parte sarà soggetto ad altrettanto profonde trasformazioni nel futuro. Se ci spostiamo a ritroso di qualche millennio, prendendo in considerazione quelle civiltà e quelle culture che hanno preceduto l’epoca dei Greci, o addirittura se ci spostiamo all’inizio della stessa civiltà greca, allora ci rendiamo conto che l’umanità sperimentava la realtà in modo radicalmente diverso da noi. Sperimentava la realtà attraverso la potenza introspettiva dell’immagine. L’immagine era lo strumento per esplorare le profondità dell’essere. Proprio nella civiltà greca la potenza dell’immagine è regredita e su di essa si è stratificato l’intelletto come strumento interpretativo della realtà esteriore. L’immagine scendeva in profondità ma lo faceva in modo spontaneo, con quella spontaneità che è propria del sogno. L’uomo veniva sospinto dalla forza dell’immagine nei substrati più intimi dell’essere. Era l’immagine che suscitava istintivamente il sentimento di unione con ciò che dall’interno si intesse nelle manifestazioni della natura. L’immagine era l’espressione di quella forza istintiva che metteva in relazione la coscienza col versante interiore del mondo, cioè con quella regione abitata da esseri operanti nella natura e dominata dalla volontà degli Dei. In realtà era la volontà degli Dei che suscitava nell’uomo in modo istintivo l’immaginazione come esperienza interiore di ciò che esteriormente si manifesta nella natura. La natura stessa veniva sperimentata come immagine, cioè come il linguaggio attraverso il quale gli Dei si manifestano agli uomini. Era dunque compenetrata di sacralità. Questo stato della coscienza dominato dalla forza spontanea dell’immaginazione viene denominato nella letteratura antroposofica chiaroveggenza istintiva. In questa condizione della coscienza l’uomo era portato a conformarsi alla volontà sovrumana degli dei e di coloro che maggiormente la rappresentavano nella vita sociale, che maggiormente per la loro posizione all’interno della stirpe erano espressione di questa volontà, cioè gli anziani, e tra di loro in particolare i sacerdoti, proprio perché la volontà degli Dei si manifestava attraverso i legami di sangue, legami in base ai quali si configurava l’ordine sociale. Sulla base dei legami di sangue si risaliva sino al capostipite, a colui che aveva inaugurato la vita della stirpe e, attraverso il capostipite, attraverso un patto con la divinità che risaliva al capostipite, si stabiliva il rapporto col territorio, proprio perché il territorio e l’intera natura erano concepiti come la dimora e quindi come la proprietà degli Dei. Occupare uno spazio significava entrare in relazione con la divinità, così come risalire a ritroso nel tempo attraverso le generazioni significava ricostruire la propria relazione con la divinità da cui la stirpe trae origine attraverso il capostipite. Vi era dunque una relazione spazio-temporale con la dimensione metafisica degli dei, dimensione che comunque veniva considerata immanente rispetto agli esseri e ai processi della natura. Nell’ambito della chiaroveggenza istintiva la coscienza non veniva sperimentata come attributo dell’individualità, ma come attributo della propria appartenenza alla comunità attraverso i legami di sangue. La comunità umana viveva nel grembo della divinità e l’individualità viveva nel grembo della comunità. Questo significa che la relazione col corpo e con l’anima era completamente diversa da quella che caratterizza la coscienza contemporanea. Si potrebbe dire che in quei tempi remoti l’uomo stava in relazione per mezzo del corpo con l’anima del mondo. Infatti il corpo lo collocava in mezzo alla natura dove vivevano esseri sovrumani. Questi esseri costituivano l’anima del mondo e si manifestavano attraverso la natura, annunciavano la loro presenza attraverso i fenomeni naturali. Collocandosi col corpo entro la natura e muovendosi in essa l’uomo sentiva di essere immerso nell’anima del mondo che si rivolgeva a lui attraverso gli eventi naturali. Era la capacità di muoversi nel mondo per mezzo del corpo che metteva l’uomo in condizione di entrare in relazione con gli dei. Il movimento era mediatore della relazione con gli Dei. Il corpo che si muove, il corpo che incede, il corpo che danza era lo strumento di relazione con la dimensione sacra della realtà. Conoscere era l’atto immedesimativo di una volontà in movimento. Questa stagione della coscienza entra progressivamente in declino e questo declino è il risultato della graduale demarcazione della coscienza rispetto alla natura o, se vogliamo, in senso più generale della divisione e della contrapposizione tre coscienza ed essere. La coscienza si retrae in se stessa respingendo fuori di sé la natura e questo retrarsi coincide con una radicale trasformazione del ruolo e della posizione dell’immagine nella relazione tra la coscienza e la realtà. L’immagine viene depotenziata e spostata nello spazio soggettivo della coscienza. In tal modo perde la forza di immergersi nella realtà. Questa si inabissa al di sotto della coscienza e assume la forma del sogno. Il sogno è un relitto della antica chiaroveggenza istintiva. Questo inabissarsi coincide con la facoltà di trasferire entro lo spazio soggettivo della coscienza la facoltà dell’immagine in modo da disporne intenzionalmente. Prima la facoltà dell’immagine si sviluppava spontaneamente venendo suscitata dagli eventi naturali, ora invece viene suscitata intenzionalmente a partire dal soggetto. Da una parte l’essere viene respinto verso fuori e da questo respingimento ne deriva la forma oggettiva della realtà. Nello stesso tempo l’immagine viene spostata verso dentro e da questo spostamento ne deriva la facoltà soggettiva della rappresentazione che assume il carattere della memoria e della fantasia. L’avere respinto l’essere fuori di sé sta all’origine dello spazio come categoria universale entro la quale viene sperimentato tutto ciò che sta al di fuori del soggetto e si contrappone ad esso dall’esterno. L’avere incorporato dentro di sé l’immagine sta invece all’origine del tempo come categoria universale della rappresentazione di sé. Questo processo di trasformazione della coscienza e rappresentato in varie forme e in varie versioni nella tradizione mitico religiosa antica. Può essere considerato come un furto del tempo e una caduta nello spazio. Infatti rispetto alla coscienza originaria il tempo non viene più sperimentato entro la realtà, cioè come substrato dello spazio , substrato che custodisce la memoria del divenire universale nel quale l’uomo nella sua esistenza singolare si trova racchiuso. Nella coscienza arcaica la memoria non aveva un carattere individuale ma scorreva da generazione in generazione come memoria della stirpe e, oltre la stirpe come memoria delle azioni degli dei, sino a risalire all’origine del mondo. La memoria aveva un carattere oggettivo, universale e veniva evocata spontaneamente dai luoghi. Attraverso i luoghi gli dei raccontavano le loro gesta. I luoghi evocavano il ricordo della creazione. In ogni fonte, in ogni albero, in ogni angolo della natura vi erano esseri che raccontavano. Ogni luogo era la sorgente di un racconto, di una storia, di una memoria. Ogni spazio era intessuto nel tempo. Il tempo sorgeva spontaneamente dalle profondità dello spazio. Lo spazio si dilatava nel tempo che era popolato da esseri che raccontavano. Questo si rispecchiava nella sfera sociale in cui le festività erano l’opportunità di evocare attraverso il ritmo della danza e della parola la memoria delle gesta degli antenati, degli eroi e degli dei. Lo spazio era lo scrigno che custodiva i misteri del tempo e, attraverso i riti e le festività il mistero del tempo veniva evocato in modo da risvegliare la potenza creatrice dell’immaginazione mitopoietica. Lo spazio era saturo di tempo, era come un vaso che traboccava di tempo e per questo l’uomo era in una condizione di adorazione immedesimativa della sacralità della natura. La fine di questa fase originaria della coscienza consiste in un certo senso in un furto del tempo, nella capacita di trasferire il tempo nello spazio ristretto , nello spazio rovesciato della coscienza soggettiva. Questo determina il tramonto per la coscienza dell’esperienza del tempo oggettivo, di quel tempo che alle origini risiedeva entro la realtà, oltre lo spazio, oltre l’immagine oggettiva della realtà. Questo tempo sprofonda al di sotto dell’orizzonte della coscienza, si inabissa nell’incoscienza. Il primo atto in cui viene istituita la proprietà privata è l’ atto di appropriazione del tempo da parte della coscienza. Il primo bene che si trasforma in proprietà privata individuale è il tempo. Il tempo alle origini pascolava nel territorio degli dei, se vogliamo, allo stato brado. Venne rapito dagli uomini e venne trasferito nel recinto della coscienza individuale. Infatti sul tempo si appoggia la capacità dell’io di rappresentare se stesso, di entrare nel possesso della propria identità esistenziale. Il tempo che prima era il substrato per entrare in relazione con la divinità che parlava della storia della creazione e del divenire di ogni cosa attraverso le manifestazioni della natura, viene trasferito nell’interiorità per diventare proprietà dell’io e substrato dell’io per la rappresentazione di se stesso. L’uomo acquisisce la capacità di immagine e, sulla base di questa, la coscienza individuale. In tal modo la sfera del tempo viene staccata dall’ambito universale e trasferita nell’ambito individuale. Cessa di prodursi in modo spontaneo attraverso la relazione con la natura e in quanto attributo dell’individualità acquisisce un carattere intenzionale. Questo complesso processo di trasformazione della coscienza determina una inversione dell’esperienza del tempo. Si può dunque parlare di una rotazione e di una inversione dell’esperienza del tempo. Mentre in origine il tempo veniva sperimentato entro la realtà come la presenza operante degli Dei, ora si sposta entro lo spazio soggettivo della coscienza. Si potrebbe dire che la coscienza si retrae in se stessa trascinandosi con se il tempo e lasciando fuori di sé lo spazio spogliato di interiorità. Ma il tempo sperimentato entro la realtà è il tempo che si manifesta come vita, è la potenza che fa germinare, che fa germogliare ogni essere vivente. In realtà nella originaria esperienza del tempo la natura è il passato degli Dei, ma dietro la natura sono presenti gli Dei. Il passato è dunque presente. Ma la presenza degli Dei è la potenza generatrice della vita che opera in ogni essere come lo sgorgare del futuro dal presente. Questa forza generatrice è l’operare ininterrotto delle origini. Le origini dunque non sono relegate nel passato ma sussistono nel presente come forza generatrice del futuro. La potenza delle origini si manifesta in ogni essere che germoglia e avvolge dall’interno come un involucro invisibile tutto ciò che si manifesta. In questa prospettiva la morte non si è ancora separata dalla vita non emerge ancora come tale, ma si intreccia come vita nello scorrere del tempo in cui tutto diviene. Il tempo quindi veniva sperimentato come il sorgere della vita, come il tempo che sorge. Ora invece il tempo si rimbalza riflettendosi nella coscienza. Questo tempo non è più il tempo della vita, il tempo che sorge: è il tempo che passa, il tempo che scorre dal presente verso il passato, dall’essere verso il non essere. E’ il tempo soggettivo della memoria individuale, dove l’essere muore nell’immagine, tramonta nella memoria di ciò che non è più. E’ un tempo che scorre in modo inverso alla vita, che scorre verso il non essere, verso la morte, verso il passato. Ma in questo scorrere diventa il substrato della coscienza individuale. Il possesso del tempo dà all’uomo il suolo interiore per sviluppare la coscienza individuale. Questa trasformazione della coscienza è espressa in un modo grandioso nel mito di Prometeo. Lo stesso nome allude allo sviluppo entro l’uomo della facoltà dell’immagine, della rappresentazione, che costituisce la base della memoria e in tal modo della coscienza individuale. Promethis corrisponde esattamente alla parola tedesca Vorstellung che significa rappresentazione. Prometeo ruba agli dei il fuoco per darlo agli uomini. Ma il fuoco esprime dal punto di vista elementare il puro scorrere che è l’essenza del tempo. In realtà in questo grande passaggio della coscienza l’uomo incorpora il tempo entro la coscienza acquisendo la facoltà della memoria e questo crea la base dello sviluppo dell’intelletto, cioè della facoltà di pensare a partire da se stesso. Questo determina due cose. Da una parte il senso del possesso, della capacità di appropriarsi dello spazio giacchè lo spazio, per il fatto che gli dei si ritirano, per il fatto che si spopola della presenza del soprannaturale, cioè della sua sacralità, può diventare possesso dell’uomo. Gli uomini si appropriano dello spazio che è stato abbandonato dagli dei. In un certo senso l’uomo impara a dire Io in relazione a se stesso e a dire mio in relazione allo spazio esterno appunto perché questo è stato abbandonato dagli dei. L’uomo entra in possesso dello spazio proprio perché questo si è svuotato della presenza degli dei. Si spegne l’esperienza oggettiva del tempo come fondamento interiore, come retroscena immateriale dello spazio. Questo tempo era il regno degli dei e delle loro gesta. Il tempo viene trasferito dentro la coscienza e diventa possesso dell’io, diventa il substrato attraverso il quale l’io può sperimentare l’identità con se stesso come continuità biografica. Dall’altra parte, proprio per il fatto che la chiaroveggenza istintiva è tramontata e da questo tramonto è emersa lentamente la potenza dell’intelletto., l’uomo comincia a regolare a partire da se stesso la propria relazione con la realtà. Questo coincide con la facoltà di utilizzare il fuoco. Prima dello sviluppo dell’intelletto il fuoco è sacro e non può essere avvicinato se non per entrare in relazione con gli Dei. Ora invece, nel momento in cui sviluppa una coscienza individuale l’uomo si impossessa del fuoco. L’uomo ha acquisito la facoltà di costruire utensili. L’utensile è il risultato della facoltà di applicare l’intelletto nella sfera della volontà, di sottomettere il fuoco alla volontà individuale. Questo determina la nascita del lavoro, cioè della capacità di rivolgere la volontà verso un fine e di orientarla attraverso l’intelletto. Ora l’uomo da una forma individuale alla volontà orientandola a partire da se stesso verso un fine. Gli utensili si pongono come strumenti di una volontà che ormai viene orientata in modo individuale cioè viene rivolta in modo intenzionale verso un fine. Questa nascita dell’individualità e della sua espressione nel lavoro è esposta nella maniera più profonda nel racconto del peccato originale dove appunto viene in grandiose immagini espressa la perdita dell’originaria, istintiva coscienza della presenza della divinità nelle manifestazioni della natura. In questa perdita della coscienza della presenza della divinità nella natura consiste la cacciata dal Paradiso. Dalle ceneri della originaria chiaroveggenza istintiva emerge l’intelletto. Attraverso l’intelletto l’uomo si emancipa dalla natura, si trasforma da un essere naturale in un essere individuale. Mette una distanza tra se e la natura, una distanza che oggettivamente è segnata dalla mediazione dell’utensile nella relazione col mondo materiale. La relazione con gli dei non avviene più attraverso la natura. La natura non è più il luogo dove gli dei si manifestano all’uomo, non è più il segno della presenza degli dei, il linguaggio che svela le loro intenzioni. La natura assume una propria esistenza concreta al di fuori dell’uomo, una esistenza oggettiva. Questo coincide con la perdita della capacità di interpretare attraverso il linguaggio della natura le intenzioni degli dei. Questa perdita coincide con l’invenzione della scrittura. Mentre prima della nascita dell’intelletto l’uomo sperimentava la natura come un grande libro che narrava le gesta degli dei, che raccontava delle loro azioni e delle loro intenzioni, ora invece comincia a sperimentare la natura in modo esteriore, come uno scrigno che si chiude, comincia a sperimentare la natura nella forma esteriore dello spazio. La natura perde la facoltà di suscitare nell’anima quelle immagini attraverso cui gli dei si svelano. Viene meno la percezione spontanea della natura come immagine attraverso cui si svelano i pensieri e le intenzioni degli dei. Bastava per l’uomo delle origini di immergersi in uno scenario naturale per vedere emergere in se da questo scenario un mondo di immagini in cui si svelava la presenza degli dei. Le immagini che sorgevano spontaneamente nell’anima erano il mezzo attraverso cui gli dei comunicavano. Ma queste immagini venivano suscitate in modo spontaneo dalla natura stessa. Ora invece la natura diventa una scrittura indecifrabile proprio perché l’uomo acquisisce la capacità di suscitare immagini a partire da se stesso in modo intenzionale, cioè in modo autonomo rispetto alla natura. Acquisisce la capacità di suscitare immagini attraverso i segni della scrittura. I segni della scrittura sostituiscono il linguaggio della natura. Le immagini non emergono spontaneamente dalla natura ma vengono suscitate intenzionalmente in relazione ai segni della scrittura. Essi sono il prodotto di un artificio dell’intelletto umano. Attraverso questo artificio l’uomo cioè acquisisce la facoltà di regolare le immagini in modo intenzionale. I segni della scrittura gradualmente perdono ogni relazione sostanziale con le immagini che suscitano. Si produce una emancipazione della facoltà della rappresentazione dalle condizioni esteriori. Attraverso la scrittura l’uomo si rende autonomo dalla natura nella sua vita di rappresentazione. L’uso della scrittura è il prodotto di una convenzione che è possibile solamente in conseguenza dello sviluppo dell’intelletto e della sua capacità di astrazione. La scrittura di per sé, così come si è sviluppata nel corso del tempo non ha alcun senso se non quello attribuitogli convenzionalmente dagli uomini. Vi è alla base una astratta convenzione. Sulla scrittura si appoggia la facoltà dell’uomo di sviluppare rappresentazioni a partire da se stesso. Il valore attribuito ai segni rende l’uomo capace di sviluppare rappresentazioni senza che queste abbiano una immediata relazione concreta con la realtà. La vita rappresentativa diventa espressione del libero arbitrio. La invenzione della scrittura ha una analogia con l’invenzione del denaro. Infatti anche il denaro di per se non ha alcun valore se non quello che gli viene attribuito convenzionalmente dall’uomo. L’uomo, proprio per il fatto di avere staccato la potenza dell’immagine dal mondo esterno, per il fatto di essersene impadronito in modo da poterla orientare a partire da se stesso in modo intenzionale, per il fatto cioè di avere sviluppato in sé il libero arbitrio sposta entro di se la relazione col mondo, cioè dalla parte opposta a quella in cui operavano gli dei originari. Si strappa agli dei per appartenere a se stesso. Questo crea un conflitto rispetto alle origini e alla relazione con gli dei in quanto la capacità di suscitare a partire da se stesso la relazione con la realtà, il possesso dell’immagine sono il risultato di un atto della coscienza che si origina al di fuori della sfera d’azione degli dei e che è non solo indipendente ma addirittura opposta alla volontà divina originaria. Si sviluppa dalla parte opposta perché in questo atto l’uomo non si trova entro la volontà degli dei che operano nella natura, ma dalla parte opposta, cioè entro se stesso. Questa volontà oppositiva è l’atto di nascita dell’io nella sua determinazione esistenziale. Ora questo conflitto sospingerebbe l’uomo fuori della realtà, fuori dell’essere. La sua potenza è al negazione che è il suolo dell’auto affermazione. Questo essere sospinto fuori dell’essere questo essere relegata della coscienza entro se stessa determina la necessità di ricostituire la relazione con la dimensione divina originaria in una nuova forma corrispondente alla trasformazione della coscienza conseguente al furto e all’appropriamento della potenza dell’immagine e alla conseguente nuova facoltà di costituire una relazione con la realtà indipendente dagli dei e fondata sul libero arbitrio. Gli dei non hanno un accesso immediato nella regione dell’anima che è il frutto della opposizione agli dei e che consiste nella facoltà della rappresentazione. Infatti la coscienza si orienta in modo intenzionale sulla base del libero arbitrio attraverso la facoltà della rappresentazione sulla quale si edifica l’intelletto. Gli dei non hanno dunque accesso alla coscienza di veglia dominata dalla rappresentazione e dall’intelletto. La relazione con gli dei sprofonda nell’inconscio, nella regione del sogno. Il sogno è un relitto della coscienza arcaica, della chiaroveggenza istintiva sul quale si è stratificata la coscienza di veglia. Gli dei dunque restano collegati con l’uomo attraverso il sogno. I sogni diventano lo strumento per mantenere la relazione con gli dei e per questo assumono una forma oracolare. D’altra parte la presenza degli dei può essere avvertita, può essere coltivata entro la coscienza nella misura in cui viene mantenuto l’esercizio di una memoria trascendente, di una memoria che oltrepassa i confini della singola esistenza individuale e solleva l’uomo all’esperienza di quella memoria originaria in cui si manifesta lo scorrere del divenire universale come opera degli dei e degli eroi, di quel tempo cioè che ha lasciato la sua impronta visibile nella natura. Il tempo universale opera come sfondo invisibile della natura e su questo tempo universale si innesta lo scorrere del tempo della stirpe attraverso le generazioni. Su questo tempo riposa l’esistenza individuale. Con questo tempo universale dal quale l’uomo si è distaccato nella sua esistenza quotidiana la coscienza entra in relazione attraverso la forma epica del ritmo. Il ritmo infatti è l’anima del tempo. Esercitando la memoria universale attraverso il ritmo la coscienza può sollevarsi oltre i suoi ristretti limiti individuali per risvegliare la coscienza della propria appartenenza allo scorrere del tempo universale. Questo può avvenire solamente attraverso la trasmissione orale, da bocca a orecchio al di fuori dell’impronta umana della scrittura che, lasciando un solco esteriore congelerebbe lo scorrere del tempo arrestandone il flusso. Ma, proprio per effetto della nascita dell’intelletto e del conseguente tramonto della relazione con gli dei attraverso la natura, la coscienza modifica radicalmente la propria relazione con la realtà. Questo determina l’esigenza interiore alla educazione del pensiero in modo da rendere il pensiero stesso strumento per una rinnovata esperienza della realtà, per una rinnovata relazione con la divinità. Il pensiero viene educato in modo da diventare il mezzo per ricostituire la relazione con l’universale, quella relazione che si va estinguendo nell’ambito dell’originaria esperienza mitico immaginativa, che si va ritirando al di sotto della coscienza diurna nella sfera del sogno. La sfera morale non è più immediatamente evidente attraverso la percezione della volontà degli dei nei fenomeni della natura. La sfera morale non è più immediatamente percepita in modo da tradursi spontaneamente in istinto morale. La sfera morale va pensata in modo da tradursi in una decisione morale. In quanto viene pensata l’esperienza morale assume la forma della legge. L’espressione storica della capacità di pensare la sfera morale in modo da tradurla nella forma della legge è costituita dall’impulso spirituale ebraico. Il popolo ebraico rappresenta l’espressione della riconquista da parte dell’umanità della relazione con la sfera morale attraverso la capacità di pensare il contenuto morale nella forma della legge. Nel suo cammino storico il popolo ebraico sembra plasmato da una volontà morale che lo porta verso le grandi decisioni che segnano la sua storia. Dall’altra parte una altrettanto profonda educazione del pensiero avviene nell’ambito della corrente spirituale ellenica. Qui però il pensiero segue un cammino completamente diverso. Esso rimane ancorato alla originaria esperienza mitico immaginativa. Questa rimane come un lascito della chiaroveggenza istintiva Su questo lascito si schiude il pensiero. Alle origini il pensiero vi è nel mondo ellenico una interpretazione del mito. Il mito è il patrimonio esperienziale che è stato consegnato dalla originaria chiaroveggenza immaginativa. In esso risiede la esperienza della natura elevata alla trasparenza del suo fondamento, cioè alla percezione della potenza creatrice degli dei e degli eroi, segno di quella stessa potenza creatrice dalla quale attingono i pensieri e le opere umane. Nel popolo greco sopravvive una traccia della originaria esperienza della presenza degli dei nella natura. Il popolo ebraico si solleva da questa esperienza per elevarsi ad un Dio che è al di sopra del mondo dei sensi, che è invisibile, che è al di sopra di ogni immagine. Un Dio che si mette in relazione con l’uomo al di là del mondo dei sensi nella misura in cui l’uomo si evolve sino ad acquisire la capacità di pensare la legge morale. Nel mondo ellenico invece il pensiero viene educato attraverso la filosofia sino ad acquisire la facoltà di riflettere nell’intelletto Il fondamento universale della realtà che opera come unità trascendente nella molteplicità degli esseri e dei fenomeni naturali, la potenza che rende possibile di intravedere l’uno attraverso il molteplice. L’uomo greco rimane quindi collegato con l’esperienza originaria della natura e proprio da questa esperienza attinge per elevarsi attraverso il pensiero sino al fondamento trascendente dell’essere. L’intelletto si evolve sino a diventare la capacità di riflettere l’ordine universale entro la coscienza. E’ orientato verso l’universale. Il sillogismo è l’espressione di un modo di procedere del pensiero orientato verso l’universale. In questa prima grande epoca del dischiudersi del pensiero dall’antica immaginazione spontanea e che coincide con la civiltà antica e con la civiltà medievale possiamo differenziare tre fasi fondamentali. In una prima fase il pensiero attinge dal mito come il lascito di una esperienza originaria della verità, come l’immediata rivelazione della volontà divina in cui è riposto il senso del mondo. Questa fase comprende la filosofia presocratica e arriva sino a Platone. A questa segue una seconda fase nella quale il pensiero si emancipa dal mito e approda alla realtà sensibile. In questa fase il pensiero prende le mosse dalla varietà e dalla molteplicità dei dati e dei processi naturali visibili per ricostituire la relazione con l’universale che ne costituisce il fondamento. Invisibile. Elabora quella procedura del pensare che collega il particolare con l’universale. Ad essa segue una terza fase, il medioevo che si caratterizza per il ruolo centrale della rivelazione divina rappresentata dalle Sacre Scritture. Queste occupano un posto analogo a quello occupato dal mito nella prima fase dello sviluppo del pensiero alle origini della civiltà greca. Così come il mito era la fonte dalla quale il pensiero nascente traeva i suoi contenuti, ora nel medioevo il contenuto della verità è dato dalla Rivelazione e il pensiero ha il compito di assumerlo e di interpretarlo. Comunque sia il pensiero antico che il pensiero medievale hanno un orientamento teologico e metafisico. Il pensiero è orientato a cogliere il senso della realtà oltre le apparenze sensibili e il suo operare si manifesta nella costruzione di grandi sistemi teologici e metafisici. Il pensiero è orientato verso l’universale che sta a fondamento dell’essere. Tutto questo si muta radicalmente intorno al quindicesimo secolo. Si verifica una vera e propria rivoluzione della struttura della coscienza che modifica radicalmente l’orientamento del pensiero. Il pensiero si flette entro se stesso e, distogliendosi gradatamente dall’universale si rivolge interiormente a se stesso in modo da mutarsi nel substrato della certezza di sé. Il fondamento del disvelamento interiore dell’essere, della autocoscienza. L’io si schiude interiormente a se stesso emerge entro l’anima come autocoscienza. Il pensiero volgendosi verso l’interiorità è la potenza attraverso la quale l’io si risveglia alla coscienza di sé, alla evidenza interiore di se stesso. Nel pensare l’io si sperimenta come essere, come sostanza spirituale. (Cont.) ____________________________ Nota: ripubblichiamo per questa volta il testo sin dall'inizio con una nuova parte che ne costituisce la prosecuzione. Dal prossimo numero verrano pubblicate solamente le parte successive dello scritto. |
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Tripartizione: riappropriarsi del potere Di Marco De Berardinis Le logiche oggi in atto al potere tendono a escludere sempre di più il cittadino dal processo decisionale in quanto tematiche troppo complesse per chi deve subire le conseguenze, nella propria vita di scelte, da parte dei cosiddetti “esperti”. Persino la persona più contraria alla democrazia partecipativa, di cui si parla troppo poco e che andrebbe approfondita nei suoi pro e contro, sa invece di poter essere chiamato in causa per contribuire alle scelte del proprio territorio. Oggi nei processi decisionali dei Comuni, vige una maggioranza e un’opposizione, il cittadino al massimo, può partecipare come uditore. Il suo potere finisce con il voto. È necessario invece che sempre più cittadini inizino a pensare a come entrare nel processo decisionale del proprio territorio in modo da poterlo vivere coscientemente. La coscienza nel sociale è già in atto e molte iniziative vengono fatte tramite le associazioni. Bisogna spingersi oltre fino a che lo stesso cittadino e queste associazioni possano essere parte del processo decisionale e non si limitino solo a essere fautori di proposte. È necessario, al proposito, ripensare la struttura del processo decisionale in seno ai Comuni, ben consapevoli del fatto che il fenomeno è già sorto negli anni precedenti con le liste civiche che, stanche di una politica incentrata su interessi e conoscenze, hanno tentato di inserirsi nel marchingegno elettorale. Queste righe si rivolgono come riflessione collettiva in attesa che i contenuti inerenti la Tripartizione dell’organismo sociale vengano diffusi al maggior numero di persone possibili, consenzievoli e meno. Democrazia partecipativa (il cittadino viene chiamato in causa per esprimere un parere o un opinione, si pensi alla piattaforma Rousseau dei Cinque Stelle), democrazia diretta (il cittadino può votare direttamente le leggi senza mediazione politica), democrazia deliberativa (il cittadino concorre alla deliberazione allato della democrazia rappresentativa oggi in atto) sono tutti termini che dovrebbero volare negli studiosi di Antroposofia per arrivare a trovare la giusta conformazione per un nuovo modello sociale che preveda la suddivisione dell’organismo economico, giuridico e spirituale, come fossero tre stati sovrani. Ripartire da qui, riappropriarsi del nostro potere, di qui l’inizio, almeno nei comuni… |
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Lo scopo delle iniziative promosse da Rinascita18 Alta Formazione Antroposofica è quello di offrire ai giovani, in un momento così drammatico, l'opportunità di percorrere processi formativi volti a risvegliare la loro creatività, il loro cammino di ricerca del senso, riposto in ognuna delle loro esistenze, in modo da potere trarre da se stessi, per propria iniziativa, quei progetti attraverso cui plasmare la propria vita, in modo da riconoscersi come soggetti attivi della loro esistenza e non come succubi delle circostanze esteriori. Il senso dell'iniziativa è fondato sulla libertà come presupposto dello sviluppo individuale, in maniera tale che ciascuno possa dare un suo specifico contributo, allo sviluppo di una società a misura d'uomo. Foto: A destra: Carmelo Samonà e Edith Congiu, Direttrice formazione Rinascita18 per il 1° settennio: Formazione Maestri di Asilo. Sotto: Foto 1 - Visita di Studio nelle Madonie, gruppo Medico Antroposofico GMAS e altri partecipanti accompagnati dal Prof. Rosario Schicchi, Direttore dell'Orto Botanico di Palermo Foto 2 - Alice, Giuseppe e Chiara, allievi del corso Maestri di Asilo (lezione di lavoro manuale). |
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AGENDA AGOSTO-SETTEMBRE 2021 - 27-29 agosto: Master in Pedagogia Waldorf - biennio base
- 27-29 agosto: Corso triennale di Armonizzatore Biografico
- 27-29 agosto: Corso triennale di Medicina Antroposofica
- 29 agosto: 9° incontro nazionale del Gruppo di Studio La Questione Sociale
- 9/16/23/30 settembre: Corso in presenza e in video-lezioni di Astrosofia
- 12 settembre: 10° incontro nazionale del Gruppo di Studio La Questione Sociale
- 18-19 settembre: Corso Maestri di Asilo e Scuola d'Infanzia
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L'impulso dell'Antroposofia per aprire nuove prospettive nello sviluppo individuale e sociale ... ... nel frattempo si è progressivamente sviluppato oltre ai percorsi formativi antroposofici nell'ambito della pedagogia e della salute, un lavoro di studio, di ricerca e di confronto su La Questione Sociale, con particolare riferimento alle tematiche e alle problematiche contemporanee. Il lavoro si è svolto sulla base dello studio di alcuni testi. All'inizio si è preso in considerazione il testo di Bernard Lievegoed "Esperienze di Vita Sociale...", si è proseguito con lo studio del testo di Rudolf Steiner "Etica e Civiltà" a cui è seguito il lavoro attuale fondato sull'approfondimento del testo "Punti essenziale della Questione Sociale". Gli incontri di studio sono estesi a livello nazionale, solitamente con una cadenza settimanale e riprenderanno dopo la pausa estiva il giorno 29 agosto. In cantiere altri progetti formativi nei vari rami del percorso antroposofico, un lavoro di gruppo all'insegna della ricerca e della collaborazione creativa! |
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Dal 9 settembre 2021 Corso di AstrosofiaA cura di Maria Samonà L'Astrosofia è l'Astrologia resa sapienza attraverso l'Antroposofia. In questi 6 incontri si presenterà un quadro generale per una prima conoscenza che ci porti nella pratica. Ci avviciniamo alla sesta epoca di cultura nella quale, ci dice Rudolf Steiner, l'Astrosofia sarà uno dei saperi principe. Dobbiamo quindi iniziare a vedere la nostra vicenda umana con occhi nuovi. Questi incontri saranno un buon inizio. Gli incontri formativi si realizzeranno sia in presenza che attraverso video-lezioni zoom di due ore ciascuno, con cadenza settimanale il giovedì dalle ore 17 alle 19. | | |
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PER UN APPROCCIO PIÚ AMPIO ALLA BIOGRAFIA Di Henning Köhler Articolo tratto dalla rivista Kairós nr. 1 del gen-feb 1997 |
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Esistono diversi approcci per quello che chiamerei "il problema pedagogico-terapeutico fondamentale", approcci che rappresentano le condizioni preliminari per una vita attiva, cosciente e serena. La questione non è tanto quella della felicità nel senso profano del termine, ma quello dell'esperienza del senso, che può nascere anche dalla sofferenza, dalla delusione e dal lutto. A tale questione del senso si ricollegano le riflessioni sulla politica sociale e culturale, i problemi legati all'educazione e ai rapporti umani, alla fede e al destino. Possiamo contare su una base etica solida? Come viviamo il problema del nostro confronto costante con la tragedia: La malattia, la morte, la guerra, la perdita di una persona cara? Eventi vicini o lontani che ci ricordano in continuazione, ogni giorno, ogni ora, quanto siamo vulnerabili. Abbiamo perduto il senso della fatalità che avevano le generazioni che ci hanno preceduti, la loro fiducia in una saggezza insondabile e nella bontà di forze superiori. Abbiamo bisogno di constatare amaramente quanto fragile sia la tranquillità, quanto futili i nostri progetti, i nostri sogni, i nostri successi, così come le nostre delusioni e sconfitte, confrontati con le catastrofi di cui veniamo informati dai mass-media. LA PAURA DELLA PUNIZIONE Molte sono le persone più di quanto non immaginiamo, che di fronte alla miseria, agli assassini, alle torture e alle catastrofi naturali si interrogano sul loro diritto ad una vita tranquilla o addirittura felice. Queste persone non possono contentarsi di vivere la loro felicità con ingenua riconoscenza. In loro si insinua sempre una sorta di cattiva coscienza che si esprima nelle domande: "perché proprio io mi merito questo? Che cosa ho fatto per guadagnarmelo?". Ogni successo personale, ogni apprezzamento, ogni riconoscimento ammirato risveglia un sentimento inconscio simile a quello che si potrebbe chiamare la paura della punizione. Una sfiducia superstiziosa, il timore di essere puniti da Dio per questa presunzione - con una disgrazia, con una fatalità - avvelenano ogni bella esperienza, ogni piacere, ogni azione positiva o in qualche modo arricchente. Nella storia della coscienza e questo fenomeno è comparso verso la metà del secolo XX. Oggi è la generazione dai 30 ai 45 anni che ne soffre nel più profondo dell'anima, in modo smisurato, patologico. Gudrun Ensslin, che poi divenne terrorista, disse nella fase pacifista del suo impegno politico: "siamo sazi di essere solamente sazi”. Che cosa era successo? Nella cultura europea e americana apparve, inizialmente in modo tumultuoso e inquietante, una nuova forza di coscienza, un'esigenza di una nuova qualità del senso dell'esistenza (e dunque dell'esperienza dell'assurdo). Ciò che emergeva era una sensibilità planetaria per la giustizia e per la dignità dell'uomo. Nasceva un sentimento di enorme intensità, di responsabilità personale nei confronti della miseria e della sofferenza di persone di paesi lontani. La paura di essere puniti da Dio per la nostra presunzione, di cui abbiamo parlato, non riguardava solamente coloro che credevano nell'esistenza di Dio, niente affatto. Esiste un'indicazione spesso citata dal R. Steiner a proposito dell'anoressia mentale che ha attirato particolarmente la nostra attenzione. Egli spiega che sempre di più si potrà osservare nel bambino piccolo un'espressione triste e malinconica e questo sin da primi giorni di vita. In questa espressione secondo R. Steiner, "vive qualcosa di un'atmosfera interiore di rifiuto ad entrare nell’esistenza”. Per meglio comprendere questo fenomeno bisognerebbe tener conto di un avvenimento prenatale, quello dell’ "Incontro delle anime che hanno appena varcato la soglia della morte con quelle che sono sul punto di entrare nella vita fisica dalla porta della nascita… Questo incontro è responsabile dell'impulso che imprime questa malinconia particolare nei bambini. Non vogliono entrare nel mondo che questi incontri prenatali hanno fatto loro intravedere”. LA CATASTROFE CULTURALE La nostra riflessione si può allargare ad un piano storico e pratico. Gli anni 50 non furono soltanto agitati dai lutti e dal dolore conseguenti alle innumerevoli perdite umane, morti ed esecuzioni della seconda guerra mondiale ma furono anche un'epoca durante la quale molti di coloro che passavano la soglia erano segnati dall'esperienza biografica delle due terribili catastrofi mondiali e dal sentimento di amarezza, addirittura di rancore, per esservi stati coinvolti in qualche modo, sia per semplice paura, per compiacenza e complicità o per un accecamento passeggero. A tutto ciò si aggiunga un altro elemento: le catastrofi delle due guerre mondiali sono legate tra loro da una terza catastrofe nella sfera della vita spirituale, più ampia è, da un certo punto di vista, all'origine delle altre due. Le persone decedute negli anni 50, avevano con la loro biografia contribuito, da una parte, a ciò che si chiama il trionfo dell'era dell'industria e della tecnica e, dall'altra, alla consacrazione della sconfitta degli impulsi spirituali europei provenienti dalle correnti del classicismo e del romanticismo, dell'individualismo filosofico, della scienza ispirata da Goethe, dalle idee democratiche e liberali del socialismo originario, etc… coloro che in quest'epoca contemplarono retrospettivamente questo campo di rovine europee in quanto ambiente storico del loro cammino di vita hanno portato con sé dall'altro lato della soglia questa esperienza di appassimento di tutte le forze di vita spirituali, idealiste-culturali nel vero senso della parola, e l'hanno portata come messaggio a coloro che si preparavano alla nascita fisica. Dopo la prima guerra mondiale, quando le cose cominciavano a deteriorarsi, R. Steiner disse che le anime "non vogliono entrare in questo mondo perché sanno ciò che deve affrontare oggi sulla terra l'umanità dotata di pensieri, filosofia e azioni materialiste…”. La situazione culturale, politica ed economica che si è creata in questi ultimi decenni genera nelle anime che si preparano a nascere un'atmosfera che agisce contro il processo di incarnazione e di individualizzazione. Laddove il processo dovrebbe svolgersi come puro e autentico impulso in sorge questa atmosfera, colorata dal dubbio e dalla tristezza. Gli adepti della "psicologia prenatale" si limitano a dire che le depressioni, i timori e i dubbi delle madri durante la gravidanza potrebbero avere conseguenze sulla salute del bambino. Sarebbe bene riflettere anche sulla possibilità che le depressioni delle madri siano dovute, almeno in parte, all'influenza delle esperienze prenatali delle anime dei bambini. In quest'ordine di idee, infatti, a questo “scambio di esperienze” tra le anime dei defunti e a quelle che si trovano in uno stadio di preparazione preconcezionale, si aggiunge un'altra osservazione importante della scienza dello spirito. R. Steiner descrive in "teosofia" come l'anima, nel momento in cui prende la decisione di incarnarsi, acceda ad una “visione prospettiva della sua esistenza futura”. Questa "le mostra tutti gli ostacoli che come uomo dovrà superare affinché la sua evoluzione continui. E ciò che in questo modo vede è il punto di partenza delle forze che l'uomo deve portare nella sua nuova vita”. |
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Osserviamo come un fenomeno psico-culturale la crescente dissoluzione dei tradizionali legami di gruppo, fino ai più piccoli, quelli familiari. Questi legami permettevano un tempo all’egoità, vincolata al corpo e tendente per questo all'antisocialità, di trovare il proprio orientamento, il proprio fondamento. L'individuo è respinto sempre più in se stesso, erra nel paesaggio della sua stessa anima, sballottato tra paura e desiderio, tristezza e speranza, in preda alle vertigini sonda gli abissi della sua esistenza e, scoraggiato, leva gli occhi verso cime irraggiungibili. In questo modo, considera ciò che accade nel suo ambiente naturale e umano solo come un'azione dietro le quinte senza importanza. Per lottare contro sentimenti di impotenza e di assurdità, finisce per sviluppare un atteggiamento dell'anima che Erich Fromm definisce come il "modo dell'avere" (in opposizione al "modo dell'essere") perché invece di autentici progetti di divenire (idealistici), ciò che si persegue è l'accrescimento continuo di mezzi diretti e indiretti di valorizzazione dell'ego (potere, piacere, apparenza, privilegi, possesso, informazioni, Etc…) Dove arriviamo se ci chiediamo che cosa si nasconda dietro a tutto questo complesso attuale? Quale esperienza spirituale originaria calata nella realtà fisica e materiale si trova sullo sfondo? In altre parole, che cosa nel “bios della biografia" si è congelato, deformato in un egoismo preoccupato di evitare il dolore e di assicurarsi prima di tutto l’esistenza? La scienza dello spirito ci insegna che ogni notte l'uomo ritorna nelle regioni dell'esperienza prenatale per cercare di ispirarvisi. E ogni giorno il vissuto originario subisce di nuovo le stesse deformazioni. Qual è dunque questa percezione che si rinnova ogni notte per poi deformarsi di nuovo? La risposta è evidente: è il riconoscimento dell'inevitabile isolamento, causa delle difficoltà particolari cui si trova confrontato ogni individuo per il solo fatto di essere coinvolto nel destino della nostra epoca. Questo destino del nostro tempo si caratterizza come la transizione tra l'epoca dell'anima razionale o affettiva in cui l’ Io, cercando già di affermarsi, si ritrova nella necessità del “noi" - e quella della coscienza universale che cerca e inaugura quel “essere cittadini del mondo” radicato nell’individualismo. Ne è segno evidente questo egocentrismo, nelle profondità del quale risiede il sentimento di isolamento. A questo proposito, l'esperienza psicoterapeutica mostra che se durante il giorno ci si dedica alla ricerca esclusiva della "gioia personale" ci si risveglia all'indomani con un intenso sentimento di isolamento e di abbandono. UNA FINTA GUARIGIONE Questo sentimento di solitudine è la realtà la cui forma caricaturale è l’egoismo. Si manifesta costantemente sullo sfondo dell'attuale coscienza ordinaria, in quanto ricordo di una percezione e di un'angoscia prenatali. Il risultato è che l'anima si trova continuamente compressa e dilaniata tra due direzioni opposte e che in questa frattura è sottoposta ad una fortissima tensione. Da un lato, spinta dalle sue esperienze notturne, l'anima tende verso la vera guarigione che le consentirebbe di collegarsi interiormente (ed esteriormente attraverso le azioni) con obiettivi di vita superiore; dall'altro tende verso una guarigione apparente che significa abbandonarsi alle forze dell'egoità, al “modo dell’avere”. Questi conflitti che qui esaminiamo da un punto di vista spirituale trovano la loro espressione anche nella nostra vita culturale sociale. Attraverso i media, le vie di comunicazione e le relazioni economiche, progredisce, incessantemente un'internazionalizzazione della coscienza, mentre nella vita degli individui l'egoismo si rafforza, provocando la dissoluzione dei legami tradizionali, ma porta con sé, in compenso, attraverso fenomeni come Greenpeace o Amnesty International, un idealismo senza precedenti in questa forma, che oltrepassa le frontiere. Sono passati vent'anni dal leggendario festival di Woodstock nel quale si espresse, pur in forme difficili ed esposte agli attacchi di forze avverse, lo schiudersi di questa coscienza di appartenere alla totalità dell'umanità e della responsabilità che ne deriva. All'inizio del 1990 si tenne a Londra nello stadio di Wembley un concerto rock contro l'apartheid e l'odio razziale. Nelson Mandela, venuto appositamente, ricevette un'accoglienza entusiastica. Sono avvenimenti suscitati dalla nuova generazione, le persone che si incontrano per cercare di guarire realmente la malattia psichica della nostra epoca, la malattia dell’isolamento. Questa potrà essere superata solo attraverso una conversione delle coscienze che accende il sentimento della vita - con l'accettazione di tutto ciò che comporta di doloroso. Ogni tortura o persecuzione su questa Terra è come uno schiaffo che colpisca il mio viso. Il sentimento della vita che si esprime in questo modo - ancora insufficientemente - è il segno di un processo di reminiscenza nel senso che ci si riporta un'esperienza prenatale capitale, esperienza che segna profondamente, e conflittualmente, il processo di incarnazione nella nostra epoca. LA FATALITÀ DELL’ISOLAMENTO Basandoci su ciò che abbiamo detto all'inizio e sulle conoscenze tratte da R. Steiner, possiamo tentare ora di gettare una luce su questa frattura, sull'incredibile tensione di cui abbiamo parlato. La fase finale di preparazione animico-spirituale per l'incarnazione è oggi divenuta più difficile da diversi punti di vista. Vi si manifesta un "conflitto centrale" che rappresenta l'opposizione di due forze: un impulso idealista straordinariamente forte si scontra con ostacoli altrettanto forti e si vede con terrore esposto all'oblio di se stesso. Bisogna ora considerare della visione prospettiva dell'esistenza, nella quale prendono forma gli scopi che saranno perseguiti, è impregnata dell'intensa impressione che provoca la percezione degli ostacoli da superare. Questi ostacoli sono essenzialmente legati al fatto che dovrà essere affrontato e vinto un grande isolamento, una grande solitudine. Non dimentichiamoci poi ché è anche il momento in cui avviene "lo scambio di esperienze” tra coloro che sono appena deceduti e che trasmettono il loro senso di fallimento. Questa percezione e questo scambio hanno come effetto che l'anima, sulla soglia della nascita, è frenata e respinta nel suo impulso ad incarnarsi. Qualcosa che assomiglia -le parole terrestri sono poco adatte- allo “scetticismo", al "dubbio", scivola già in questa sfera prenatale, una tristezza vi si insinua, presentimento della fatalità della solitudine. Di fronte a questo arretramento davanti a tali pericoli, ci si può rappresentare concretamente come l'entità animico-spirituale mobiliti tutte le sue riserve di coraggio e faccia agire con grande forza il suo voler vivere, la sua volontà di avvenire, forse pure di ideale particolarmente attiva in questa sfera. Per superare gli ostacoli del dubbio dell'angosciosa tristezza si crea una sorta di “spinta", una spinta verso l'incarnazione con cui l'anima si getta in avanti, si precipita letteralmente verso l'esistenza fisica. La manifestazione eclatante di questo processo è l'accelerazione crescente che si osserva, non senza inquietudine, da qualche decennio nello sviluppo dei bambini: precocità significativa nel risveglio della coscienza individuale, nell'apprendimento del linguaggio, nell'intellettualizzazione, nella pubertà. L’ incarnazione avviene troppo velocemente e troppo profondamente. In questa accelerazione e discesa precipitosa si può riconoscere l'azione dell'impetuoso impulso prenatale orientato verso l'ideale e verso il futuro. |
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“UN’ALLEANZA DIABOLICA” Quando, alla luce di ciò che le anime appena giunte dalla Terra trasmettono loro, il futuro cammino terrestre diventa visibile a quelle che stanno per incarnarsi, è proprio in quel preciso momento, al contatto con quella visione che queste anime devono infiammarsi di ideali, di impulsi all'azione e di obiettivi.e chiaro che tutto ciò avviene in uno stato d'animo ancora privo di egoismo, Diego centrismo antisociale, caratteristiche che possono svilupparsi solo nel legame con un corpo fisico. Tuttavia nel mondo prenatale dire qualcosa che assomiglia a ciò che è sulla Terra chiamiamo individualismo. L'individualismo e l’egoismo sono entrambe forti esperienze dell’ Io. Ma l'evidenza dell'Io nell'individualismo non perde mai la connessione con il resto dell'umanità , ne ha bisogno per realizzarsi. La nostra era, così spesso definita "nuova", ha proprio come caratteristica, oltre al “complesso di colpa" più o meno inconscio che abbiamo descritto, quella di portare nell'esistenza terrena, come mai in precedenza l'evidenza metafisica dell'Io (cioè la coscienza individuale legata all'insieme dell’umanità). Questa esperienza si trova con ciò trasferita nell'egoismo che si sviluppa necessariamente - nel processo di incarnazione. Se consideriamo la storia della civiltà, questa tendenza va sempre più affermandosi da circa 500 anni. Tutto ciò ci rende attenti ad un conflitto che introduce nuove prospettive nella valutazione del fenomeno della biografia. Proviamo a immaginare nel modo più concreto possibile come l'uomo, dal suo "punto di osservazione" prima della nascita, vede in tutta la loro ampiezza le conseguenze della distruzione della natura, la desertificazione spirituale e l'accumulo di armi di distruzione di massa. Immaginiamoci anche che quello è il momento in cui progetta a partire dalla sua visione spirituale, il piano della propria esistenza futura, il momento dunque nel quale si formano gli ideali in grado di accordare gli obiettivi individuali del destino con le linee direttrici del cammino dell'umanità. In quello stesso momento avviene anche l'incontro con le anime che hanno oltrepassato la soglia della morte e che riportano il loro messaggio da un mondo nel quale le forze preponderanti sono quelle che il filosofo Erich Fromm chiama “necrofile” ("arimaniche" secondo la terminologia antroposofica). R. Steiner definisce queste forze nel 1919, l’anno della tripartizione sociale, come la fede cieca nella scienza, lo sciovinismo nazionale e quello di partito, il modo di vivere materialistico, l'imbavagliamento confessionale della vita spirituale religiosa. È questa alleanza diabolica tra le correnti distruttrici che ci ha condotti alle grandi catastrofi di questo secolo. I risultati sono noti: Auschwitz, Hiroshima, i Gulag, le carestie e i genocidi. GLI ABISSI DELL’ESISTENZA Lo stato generale nel quale si trovano la terra e l'umanità e tale che ci si può sorprendere dal fatto che le generazioni emergenti, le anime dei bambini, abbiano ancora il coraggio di impegnarvisì in modo responsabile. Le anime sulla soglia dell'incarnazione, infatti, sanno non solo a che cosa vanno incontro, ma anche che saranno sole, abbandonate a se stesse come mai in precedenza per superare le prove connesse con questa situazione. La coscienza dell'umanità non si sviluppa solo nella realtà sociale materiale ma anche, e in modo del tutto particolare, nel campo spirituale che si trova all'interno di questa realtà; la relazione tra questi due piani non è certamente senza contraddizioni. Viviamo sulla terra una tensione anacronistica tra la nostra identità spirituale individuale e la nostra personalità, che subisce l'influsso della natura e dell’ambiente. Questa tensione si aggrava da una generazione all’altra. |
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Al più tardi alla fine dell'adolescenza, l'accelerazione culmina nell'espressione particolarmente incisiva delle forze dell'egoismo, cosa che conduce immancabilmente al distanziamento dagli altri, all'esperienza della solitudine, ad un rapporto eccessivo con il proprio corpo e con i processi ad esso legati o con i desideri e valori di cui è mediatore. Ma questo sviluppo riceve anche l'energico influsso della forza etica idealista prenatale che aspira a superare la chiusura dell’ego. Queste sono le cause essenziali del conflitto centrale che dalla metà di questo secolo causa tensioni, pericoli e contraddizioni interiori sempre più forti nell'essere umano. E non possiamo quindi non domandarci come possa affermarsi la qualità dell'anima cosciente individuale proprio quando culmina la sua contro-immagine, cioè la ricerca della personalità così caratteristica della nostra epoca essa agisce come sensazione, accordo, come sentimento in un primo tempo vago e insoddisfacente, sentimento che affluisce in quella che noi abbiamo chiamato la "Cattiva coscienza" e la "paura di essere punito" senza ragione. In ogni modo di esistere fondato sull’egoismo - ciò che è oggi inevitabile - il sentimento costantemente presente è: "non ne ho il diritto; manca qualcosa; non è quello che volevo; c'è qualcosa di importante che ho mancato, dimenticato, trascurato". È così che compare la malattia del nostro tempo: la depressione - e soprattutto quella che sembra nascere senza un apparente causa esterna. Nascono così molte crisi biografiche profonde dominate dalla malinconia, la paura, l'insicurezza e l'isolamento. La paura di essere vittima di catastrofi o di colpi del destino, di perdere bruscamente la propria felicità, o di dover "pagare" per ciò che si ha avuto finora, questa paura non è altro che l'impulso inconscio rovesciato della propria anima cosciente che si percepisce come in uno specchio rovesciato. In realtà, questo impulso vuole impegnarsi in modo responsabile, vuole farsi carico della sofferenza e dell'infelicità degli altri per allontanarne gli effetti. RITROVARE IL FUTURO Queste idee, sviluppate a partire dall'immagine antroposofica dell'uomo, dovrebbero essere tenute in considerazione per aprire un cammino a tutti coloro che vogliono realmente, a partire dallo spirituale, compiere un viaggio terapeutico o di aiuto biografico a persone smarrite, interiormente dilaniate. Fare semplicemente i detective per ritrovare nell'infanzia le cause delle sofferenze è un lavoro laborioso e di poco senso in rapporto ad una ricerca sulla natura umana che consideri sia ciò che c'è prima della soglia della nascita sia l'evento della proiezione dell'avvenire, del dare significato. Ciò che là accade come azione preconcezionale ha la particolarità che nel momento preciso della nostra retrospettiva in cui torniamo verso noi stessi, ciò che viene presentito come divenire conduce verso l’avvenire. La sfera che l'uomo ritrova ogni notte e che può imparare a ritrovare con le sue aspirazioni sempre più coscienti - e che costituisce un asse centrale per la terapia - è la sfera del proprio futuro. L'antroposofia ci chiede il coraggio di non pensare la “biografia” (come fanno invece in modo più o meno consapevole tutte le scuole psicoanalitiche) come un passato che spiega il nostro presente e il nostro futuro, ma piuttosto a partire dal futuro (quello della finalità dell'esistenza e del progetto ideale dell'Io) spiegare il passato che si è accumulato nel presente. L'uomo in difficoltà ci chiede di aiutarlo a ritrovare il suo futuro, in modo che a partire dalla certezza così acquisita impari a riscoprire il suo passato come cammino pieno di senso della sua biografia. La ricerca biografica fondata sulla scienza dello spirito dovrebbe fare suo il motto: solo colui che vede un futuro può legarsi al suo passato, poiché il passato si spiega a partire dal futuro. |
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INIZIO FORMAZIONE IN AGRICOLTURA BIODINAMICA E ECOLOGIA 2-3 ottobre 2021 a Palermo (azienda agricola per la pratica) INIZIO FORMAZIONE INSEGNANTI "CONOSCERE L'ADOLESCENZA" 70 ore formative riconosciute 30-31 ottobre a Roma e Palermo Per iscrizioni e informazioni contattare: 392 998 3142 |
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